Allo stesso modo ci sono dei luoghi dove non ti senti a tuo agio. Cerchi di convincerti che non è così, non ci vuoi credere, ma ad un certo punto ti devi arrendere all’evidenza.
Qualche anno fa, “per sbarcare il lunario” come si usa dire, mi ero messo alle dipendenze di un’azienda della chimica per l’edilizia del milanese. Ero agli inizi della professione, ero squattrinato e con un figlio in arrivo. Scelsi così di non correre tanti rischi. Erano anni in cui il lavoro c’era ed ebbi la mia bella opportunità che ricordo ancor oggi con gratitudine: avrei continuato a lavorare nella mia città e di tanto in tanto sarei dovuto andare a Milano per brevi periodi. In cambio mi avrebbero dato uno stipendio e quel po’ di sicurezza di cui avevo bisogno.
La prima volta che rimasi in azienda per qualche giorno tornai a casa con la febbre.
Alloggiavo in un albergo che non mi sarei mai potuto permettere, passavo la giornata in un’azienda dov’ero trattato con riguardo, pranzavo e cenavo in ristoranti che mi sarei sognato, ma mi venne la febbre.
Va bè si sa: cambi aria, alimentazione e può succedere.
Quando tornai per la seconda volta, però, accadde la stessa cosa e così tutte le volte successive: un leggero malessere e qualche linea di febbre che passava appena tornato a casa.
Una settimana infuocata di luglio la passai da loro. Alloggiavo come al solito in un bell’albergo che stava nei pressi di uno svincolo della tangenziale est, finestre tappate e aria condizionata a diciotto gradi. Sopra alla testa il via vai degli aerei che facevano scalo a Linate. Fuori, zanzare, un caldo cane e un odore acre che ti si impregnava nel naso.
Giacca e cravatta e in due minuti d’auto ero in azienda.
Attraversato il piazzale con quell’odore sempre nel naso, salivo su negli uffici: laminati marrone alle pareti ed al mobilio, moquette scura a terra e ancora aria condizionata.
Mi convinsi che non c’era altra spiegazione alla mia febbre se non che quel luogo senza orientamento, identità e carattere, avesse in se qualcosa a cui il mio corpo rispondeva così.
Forse il “genius loci “ in quel paesaggio muto si era perso, ma sono più propenso a credere che se ne fosse scappato via, da sé, come avrei voluto far io.