Il committente

La difficoltà del rapporto con il committente non è cosa di oggi, e non sempre il committente dispone dell’invidiabile senso dell’umorismo della moglie di Richard Lloyd Jones, un cugino del celebre Frank Lloyd Wright, che ad una domanda circa l’acqua che sgocciolava nel salotto dal tetto di casa, progettata dal grande architetto, rispondeva: “ E’ così che succede quando si lascia un’opera d’arte alla pioggia”.
Non sempre va così, nemmeno per le celebrità. Madame Savoye riassume in uno scritto a Le Corbusier la sua opinione sull’efficienza del tetto piatto di Ville Savoye: “Piove dall’atrio, piove sulla rampa e il muro del garage è zuppo. E come se non bastasse, piove nel mio bagno, che quando piove si allaga, poiché l’acqua entra attraverso il lucernario”. E continua: “Dopo innumerevoli richieste da parte mia, lei ha infine ammesso che la casa da lei costruita è inabitabile …”
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale la famiglia Savoye dovette fuggire da Parigi abbandonando la villa e salvando così Le Corbusier dalla responsabilità di aver creato un oggetto di straordinaria bellezza ma, a detta del committente, in gran parte inabitabile.
Questi sono due casi eccezionali, ma che in qualche modo mettono in questione l’atteggiamento interiore dell’architetto nei confronti del progetto e del committente.
Il costruttore della propria casa credo infatti sia fondamentalmente colui che la abiterà, trasmettendovi la propria identità. L’architetto, come tecnico, esperto e talvolta artista, ha il compito di interpretare e di rielaborare le esigenze ed il carattere del cliente, in forme, volumi e superfici.
Questo è ancor più chiaro se l’architetto è chiamato ad elaborare il progetto di una spazio sacro. Qui a guidarlo sarà la tradizione, l’esigenza della liturgia e del luogo. La propria originalità starà nel ricomporre e regolare il tutto con proporzione e competenza. E non è cosa di poco conto.