Quattro tavole

Qualche anno fa, fresco di laurea, avevo trovato lavoro in una impresa di costruzioni edili. Facevamo appalti pubblici; dei bei lavori. Era subito prima di tangentopoli e le opportunità nel mondo dell’edilizia erano veramente molto diverse da quelle di oggi.
Fatto sta che mi assunsero come responsabile dell’ufficio tecnico. Davvero una bella occasione.
Un giorno il titolare venne nel mio ufficio e mi disse che mi sarei dovuto occupare anche di un progetto di lottizzazione per due palazzine di tre piani ed una dozzina di bifamiliari. Avrei dovuto fare il progetto secondo la falsa riga di uno che avevano già fatto, preparare le tavole e poi un altro professionista le avrebbe firmate.
Benissimo, mi misi al lavoro.
Si disegnava ancora a mano e quindi bisognava preparare i sottolucidi, impostare le tavole e poi passare tutto a china su lucido: altri tempi.
Avevo da poco iniziato il progetto quando questo signore cominciò a dirmi che dovevo fare meno tavole. “Va bene, meno tavole … ma il progetto?” “ Il progetto va bene” mi rispose.
Il giorno dopo tornò e mi riprese dicendo che non avevo capito nulla; dovevo fare meno tavole!
“Va bene”, gli dissi, “ma più di tanto non posso far stare su una tavola”. “Fai così: due tavole per le palazzine e non più di due per le bifamiliari”. Gli feci notare che mi sarebbero venute delle tavole lunghe diversi metri.
“Non importa”, mi rispose. “Tu falle e poi facciamo noi le eliocopie” (erano copie su carta fatte con una macchina che puzzava di ammoniaca da far svenire).
Un po’ perplesso preparai il tutto per la data che mi era stata indicata.
I fogli erano veramente ridicoli per quante volte avevo dovuto ripiegarli, ma erano quattro tavole. Avevo fatto il mio lavoro.
Nel pomeriggio l’appuntamento con il professionista per le firme.
Aspettai nel mio ufficio finché mi chiamarono in sala riunione e andai portando le quattro tavole stampate in tre copie ciascuna.
Il professionista era un tale magro e piccolino, avrà avuto ottant’anni o giù di lì, guardò le tavole e le firmò contandole. Mi disse che ero stato veramente bravo a far stare tutto il progetto in sole quattro tavole. Feci finta di capire, ma veramente non capivo il perché del riconoscimento.
Firmò tutto senza nemmeno guardare che cosa stesse firmando e se ne andò.
La mattina dopo, ci trovammo tra colleghi come sempre a bere il caffè ad una macchinetta imbucata in una sorta di sala mensa, e lì anche il ragioniere mi fece i complimenti per le quattro tavole. Con lui ero in confidenza e un po’ scocciato gli chiesi cos’era questa storia delle quattro tavole.
“E’ semplicissimo”, mi disse, “diamo all’architetto un milione di lire a tavola. Lui ha più di ottant’anni … così l’azienda con quattro milioni di lire ha fatto il progetto di tutta la lottizzazione.”
Non mi stavano prendendo in giro. Era proprio così.
Ora, passati tanti anni, questo ricordo un po’ avvilente talvolta riaffiora.
L’ultima volta è stato per il maldestro funzionario di un’azienda che per un cliente aveva fatto un progetto così insostenibile che non voleva firmarlo nemmeno lui che l’aveva fatto. Un giorno, eravamo soli, mi guardò un po’ di soppiatto e come chi sa veramente il fatto suo mi disse di aver trovato un ottantenne disposto a firmare il tutto.
“Bravo”, gli dissi, “ma non più di quattro tavole … mi raccomando!”.
Questo mi guardò come fossi matto e rispose perplesso “non si preoccupi architetto, non più di quattro”, ed andò via.
Non l’ho più rivisto. Meno male.